SILVIABATTAGLIO
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DALL'ALTRA PARTE
Sempre insieme. Nel buio, nell’attesa, nel rumore, nei non so, nella paura, nella speranza, nella buona e nella cattiva sorte. Sempre insieme, te lo giuro. Giuro su questa tazzina, su questo tozzo di pane e questo poco d’acqua, che non permetterò al tempo di separarci. Giuro sulla mia pelle, sulle mie mani e le mie labbra. Sempre insieme, ovunque saremo. Da questa o dall’altra parte. E allora tu mi dici…invecchieremo insieme. E io ti dico...ringiovaniremo insieme. Sulla mia pelle, sulle mie mani e le mie labbra. E su ogni altra cosa, io giuro. (Materiali di scrittura di scena | S. Battaglio)
Ideazione, progetto e regia Silvia Battaglio
Scrittura di scena liberamente ispirata all'omonima opera teatrale Dall'altra parte (Ariel Dorfman)
Coreografie e interpretazione Silvia Battaglio, Amina Amici
Consulenza artistica Stefano Mazzotta
Disegno luci Tommaso Contu
Produzione Zerogrammi
Coproduzione Fondazione Otello Sarzi - Premio Drammaturgia Contemporanea e Teatro di Figura
In partenariato con Fondazione I TEATRI di Reggio Emilia, ERT Emilia Romagna Teatro Fondazione, FTS Fondazione Toscana Spettacolo, UNIMA Italia
Con il supporto di Teatro Akropolis, Teatri Associati di Napoli nell'ambito del Progetto CURA 2023
Con il sostegno di TAP Torino Arti Performative, Regione Piemonte, MIC Ministero della Cultura
DALL'ALTRA PARTE, tra gli spettacoli vincitori del BANDO CURA 2023 - Residenze artistiche interregionali, ha inoltre ottenuto il riconoscimento del PREMIO DRAMMATURGIA CONTEMPORANEA E TEATRO DI FIGURA indetto dalla Fondazione Otello Sarzi di Reggio Emilia in partenariato con Fondazione I Teatri, ERT Emilia Romagna Teatro Fondazione, FTS Fondazione Toscana Spettacolo, Teatro Akropolis, UNIMA Italia e la rivista Dramma.it, con la seguente motivazione:
Per aver saputo sviluppare un innovativo discorso scenico di rimescolamento e fusione di linguaggi teatrali all'interno dei quali il teatro di figura e l'uso delle maschere ingegnosamente intrecciato alla tecnica del Teatro Danza, può trovare una sistemazione singolarmente efficace, con tratti di vera suggestione poetica attraverso la quale la tonalità fiabesca rintraccia i termini e i tempi di un dolore profondo ed universale, il dolore della separazione, del distacco e della morte. Così lo spettacolo riesce a intensamente valorizzare sulla scena un testo aspro e profondo come quello di Ariel Dorfman potendo così leggere la più tragica attualità (i confini e la guerra) dentro valori universali e affettivamente condivisi, e con questo mettendola a disposizione dello sguardo di tutti, oltre le generazioni e le età anagrafiche. Tutto ciò grazie ad un uso creativo della maschera, degli oggetti e della musica di scena trasfigurati in segni fortemente simbolici della narrazione, cui il corpo con i suoi movimenti dona significante matericità, e con un utilizzo rinnovato della metafora drammaturgica. Lo spettacolo è dunque parso rispondere in maniera adeguata alla ricerca di un rinnovamento drammaturgico, con testi nuovi e significativi, e linguistico del teatro di figura cui la Fondazione Famiglia Sarzi dedica le sue attenzioni. (Maria Dolores Pesce, Dramma.it)
DALL’ALTRA PARTE si inserisce all’interno di un percorso artistico interdisciplinare, costruito nel solco della scrittura di scena, della ricerca drammaturgica, della commistione tra la danza e il teatro, e che negli ultimi anni si è aperto all’esplorazione del teatro di figura. Nella consapevolezza che vi siano tematiche particolarmente urgenti che è compito del teatro percorrere nel tentativo di aprire una riflessione sul presente, lo spettacolo il cui debutto è previsto per la stagione 2023/24 della FONDAZIONE I TEATRI DI REGGIO EMILIA, è frutto della volontà di affrontare il delicato e quanto mai attuale tema della guerra e del senso di smarrimento dell’uomo contemporaneo, nel tentativo di esplorarlo mediante un testo di nuova drammaturgia che ben si presta alla commistione di linguaggi. Lo spettacolo è profondamente radicato alla nostra contemporaneità e da essa trae il suo senso, a fronte di un periodo storico che vede accrescere la fragilità dei sistemi politico-sociali e che mette continuamente in discussione valori universali che dovrebbero essere ormai acquisiti, come quello della pace e dell’abolizione dei confini.
Una casa separata da un confine, che l’uomo ha deciso a seguito di un temporaneo armistizio, diventa metafora dell’attesa, di un’esistenza sospesa, in bilico tra realtà e illusione, in cui si possono scorgere i resti di qualche vecchio elemento d’arredo, mentre tutto intorno risuonano le voci, i boati, le sirene, i rumori di un campo di battaglia. Atom e Levana, superstiti di uno scenario quasi apocalittico, sono una coppia di mezza età che vive tra due paesi confinanti e in guerra, essi trascorrono il tempo dentro la loro piccola casa rotta, ammaccata, sbilenca, consumata, in attesa che l’amato figlio, partito per la guerra, torni a illuminare di nuova speranza il loro presente. C’è una guerra, da qualche parte nel mondo, qui o altrove, e c’è un confine che separa concretamente la casa, così come la vita stessa dei due personaggi che - nello scorrere ritmico di una routine scandita dalla monotonia di azioni ripetitive e meccaniche che si traducono in una continua ridefinizione dello spazio - virano la propria esistenza verso una dimensione di profondo smarrimento, incarnando di fatto una condizione del tutto umana e attuale. Sebbene condotti a vivere nella più totale incertezza e forzatamente separati, Atom e Levana sono mossi dal perpetuo desiderio di ritrovare l’altro, di ricongiungersi, di arrivare dall’altra parte oltrepassando il confine, per ristabilire una forma di relazione, di contatto umano, di vicinanza che permetta loro di sentirsi nuovamente vivi. Perennemente in bilico tra ciò che è stato e che non è più, l’esistenza precaria e instabile di Atom e Levana ha bisogno di essere reinventata con l’unico mezzo ancora possibile, l’immaginazione: ed è proprio attraverso la loro immaginazione che Atom e Levana costruiscono una nuova esistenza, fantasticando le cose più strane, fino a immaginare che i loro abiti dismessi possano dar vita perfino al corpo del figlio lontano.
L’idea registica, che sottende la costruzione dello spettacolo, individua la scansione temporale della pièce mediante una suddivisione in tre atti in movimento (Sempre insieme; Terra di confine; Figlio), all’interno dei quali, attraverso uno stratificato lavoro drammaturgico, scorrono gli snodi narrativi del racconto. Risultato della commistione tra teatro, danza e teatro di figura, il lavoro è teso alla codificazione di un linguaggio ibrido in cui oggetto inanimato e corpo umano possono dialogare, intrecciando molteplici articolazioni con lo spazio scenico ed evocando al contempo differenti piani di realtà, attraverso i quali veicolare le tematiche presenti nell’opera di Dorfman, al fine di suscitare una profonda riflessione sul presente, su noi stessi e sul nostro rapporto con il mondo attuale.