SILVIABATTAGLIO
IO AMO HELEN
Io sempre cercherò di trasformare la luce che c’è nei vostri occhi nel mio sole, la musica che c’è nelle vostre orecchie nella mia sinfonia, il sorriso delle vostre labbra nella mia felicità...(The story of my life | H. Keller)
Ideazione, scrittura e regia Silvia Battaglio
Creazione liberamente ispirata a The story of my life (Helen Keller) e Anna dei Miracoli (Arthur Penn)
Interpretazione Silvia Battaglio e Patrizia Pozzi
Disegno luci Massimiliano Bressan
Spettacolo selezionato in prima internazionale ODIN TEATRET (Dk) / Eugenio Barba
In collaborazione con CRUT (Centro Regionale Universitario per il Teatro)
Produzione Tangram Teatro in collaborazione con Biancateatro
Con il sostegno di Regione Piemonte, MIC Ministero della Cultura
Silvia Battaglio è una danzatrice o un attrice? Mai come in questo spettacolo la formula del Tanztheater – così essenziale nelle categorizzazioni della scena contemporanea – ci presenta intrecciati e inestricabili i due termini che la compongono, ma, al di là delle cifre estetiche, ci propone quasi l’evidenza del rigore e dell’intensità che la rappresentazione guadagna dalla disciplina del corpo danzante, con un incremento sensibile di comunicazione che appaga lo spettatore… I personaggi si stagliano immancabilmente per una peculiare presenza scenica; le azioni sono scabre e incisive in una rigorosa interazione fra parole che sono cose e cose che sono parole. La Battaglio dà prova di sorvegliatissima tecnica. (Franco Perrelli | HYSTRIO)
La storia della Keller è narrata per bagliori nello spettacolo di teatro-danza Io amo Helen, un atto unico interpretato, diretto e scritto da Silvia Battaglio. Interprete, autrice e regista di questo lavoro, Silvia Battaglio, che aveva già incontrato consensi con i suoi singolari ritratti di Maria di Nazareth, di Ofelia e di Elettra, anche questa volta mette disposizione della “sua” Helen talento, sensibilità, grazia e l’energia che le deriva dalla danza, sostegno efficace alla sua forza espressiva. L’attrice, che sul linguaggio dei segni ha fatto uno studio approfondito, dispensa con generosità il suo racconto, illumina bene il significato della parola ‘amore’. Ammirevole l’affiatamento senza crepe delle interpreti. (Mirella Caveggia | NOIDONNE)
Di simbolo in simbolo per arrivare all’immaginario emotivo che Silvia Battaglio riesce a rendere nella sua maschera di Helen, una creatura emozionate ed a tratti inquietante con quello sguardo fisso e gli occhi vitrei a cercare appigli con il mondo esterno: un automa robotico, fascio di nervi che progressivamente si scioglie nel rapporto di grande empatia con la propria insegnante, un altrettanto brava Patrizia Pozzi, in grado di affascinare per l’indubbio carico di quell’umanità, da non confondere con la pietà, di cui si fa testimone. L’unica cosa non simbolica della serata? I convinti e rumorosi applausi finali: veri, ripetuti e soprattutto meritati. (Roberto Canavesi | TEATROTEATRO)
Basandosi sull’autobiografia di Helen Keller, sordo-cieca dall’età di 19 mesi e ispirandosi anche al bellissimo racconto cinematografico di Arthur Penn del 1962 (The Miracle Worker - Anna dei Miracoli), lo spettacolo, che ha debuttato in Italia all'interno della stagione della TPE FONDAZIONE TEATRO PIEMONTE EUROPA, attraversa il delicato tema dell’autismo, come condizione che può ostacolare notevolmente il fluire naturale della comunicazione, portando la persona a vivere uno stato di emarginazione e di totale isolamento, come nel caso di Helen Keller. Comunicare significa “mettere insieme”, stabilire una relazione con qualcosa o qualcuno, talvolta con difficoltà, dovendo superare dei limiti non sempre fisici, ma spesso mentali, culturali, educativi: in questo senso il racconto della giovane Helen Keller diventa metafora del grande racconto dell’essere umano e del suo bisogno di relazione. Grazie al meraviglioso incontro con Anne Sullivan - che sarà per molti anni la sua educatrice e la sua guida - Helen entrerà in dialogo con il mondo, con le altre persone, con i sentimenti e le emozioni, riuscendo a collocarle, a riconoscerle, e quindi a esprimerle. Dopo aver imparato a comunicare attraverso il linguaggio dei segni e l’alfabeto manuale, Helen imparerà a leggere in Braille e infine a parlare. Morirà nel 1968, all’età di 87 anni, lasciando un segno indelebile nella consapevolezza che è proprio nella comunicazione che l’uomo esiste e può esprimersi, costruendo così il senso della propria esistenza. La ricerca teatrale sul piano formale e corporeo ha avuto, nella costruzione di questo lavoro, un ruolo fondamentale poiché - avvalendosi di una gestualità definita mediante la lingua dei segni italiana (LIS) - ha dato vita a una drammaturgia fisica integrata agli snodi narrativi dello spettacolo. Parallelamente alla costruzione dello spettacolo, è stato realizzato un laboratorio teatrale presso l’Università degli Studi di Torino in collaborazione con il CRUT (Centro Regionale Universitario per il Teatro) e rivolto agli studenti del DAMS, che ha rappresentato una preziosa opportunità di ricerca condivisa sul tema della comunicazione non verbale.